Duecento partite in carriera. Divise tra dieci anni di Fortitudo Mozzecane e la parentesi Fimauto Valpolicella di un campionato fa. La classe è la stessa di sempre, di categorie ne ha conosciute quattro: dalla serie A all’odierna serie B, dall’ex A2 alla vecchia B (equivalente, dal 2002 al 2011, al terzo livello del calcio femminile italiano). Rachele Peretti raggiunge il traguardo con orgoglio: «È il coronamento di anni di dedizione, sacrifici e passione». Per la centrocampista veronese la sfida contro il Südtirol Damen di domenica scorsa, con tanto di gol e fascia di capitano al braccio, ha infatti rappresentato la gara numero 200 nei vari campionati: 180 disputate con i colori gialloblù, 20 con il Valpo. «Il numero è altissimo ma non ho intenzione di fermarmi qua. Anzi, voglio andare avanti».
Peretti, cosa significano 200 presenze?
«Un pezzo importante della mia carriera e un’emozione fortissima. Innanzitutto, vuol dire aver avuto fortuna: fino ad oggi sono sempre stata bene fisicamente, al di là di alcuni acciacchi muscolari che sono normali all’interno di una stagione. Dopodiché sono riuscita a guadagnarmi la fiducia degli allenatori, qualche anno di più, qualche anno di meno, ma la continuità in campo l’ho costantemente trovata.
E dire che ha solo 24 anni.
«Un orgoglio ulteriore. Per questo, ringrazio la Fortitudo Mozzecane che mi ha inserito in prima squadra quando ero davvero giovane e mi ha permesso di esordire molto presto in serie B (a 14 anni contro il Fabriano Futsal, ndr). La società ha sempre disputato campionati di alto livello e io ho avuto l’opportunità di bruciare le tappe in poco tempo».
Che calciatrice si sente dopo 200 partite?
«A livello di caratteristiche tecniche sono la stessa, solo più sicura dei miei mezzi. Atleticamente, invece, sono cresciuta parecchio: all’inizio facevo fatica a confrontarmi fisicamente con le avversarie, ora non più. Inoltre, negli anni ho cercato di lavorare tanto sulla tenacia e sulla grinta, aspetti in cui so di dover migliorare».
Cosa «serve» per tagliare un traguardo così?
«Costanza, determinazione e non bisogna mollare mai, anche quando di speranze ce ne sono poche. Ma il segreto principale è allenarsi al massimo, perché non è semplice portare a termine un campionato, sia a livello atletico che, soprattutto, mentale. E più passano gli anni e più gli sforzi si fanno sentire: a 16 anni giocavo e terminavo le sedute di allenamento contenta e andavo a letto appagata; oggi, al contrario, a volte torno a casa stremata. Insomma, se lavori sodo i risultati arrivano».
Ricordi belli e tristi?
«La promozione in serie A con la Fortitudo Mozzecane (2011/12, ndr) rappresenta la gioia più grande della mia carriera, mentre le delusioni più cocenti sono la retrocessione in B della stagione successiva e la mancata conquista della serie A, con il Fimauto Valpolicella, nello scorso campionato. In ogni caso, qualsiasi annata porta con sé pregi e difetti: l’importante è trarre sempre il meglio dal rapporto con le compagne, dai risultati e dalla sintonia con il tecnici».
È partita titolare in 176 occasioni. Peretti ha vissuto le 200 presenze da protagonista.
«Ne sono felice. Odio perdere e stare in panchina, sono cose che proprio non sopporto. Sia chiaro: è corretto mettersi in discussione e giocarsi il posto con le compagne, difatti a volte in passato sono rimasta fuori ed è stato giusto così. Tuttavia, se pratichi uno sport è bello viverlo da protagonista. E non guardarlo».
Con la Fortitudo Mozzecane è scesa in campo in 180 gare. Come si sente ad aver giocato così tanti incontri con la stessa maglia?
«Mi fa molto piacere. A Mozzecane mi sono trovata bene fin dal principio, pertanto penso sia dovere di un’atleta dare l’anima per la propria squadra. Dall’altra parte, per una società è un’immensa soddisfazione e un motivo di orgoglio vedere un’atleta, cresciuta nel vivaio di casa, migliorare e affermarsi».
Ben 172 match li ha disputati tra l’ex serie A2 e l’attuale B. Che campionato è il secondo livello del calcio femminile italiano?
«Uno dei più affascinanti e complicati: a dirlo sono i risultati degli ultimi anni. A differenza della serie A, qui le partite sono quasi sempre combattute, le squadre di alta classifica possono perdere punti con chiunque e le formazioni meno blasonate hanno l’opportunità di dare filo da torcere a chi sta sopra. Prendiamo, per esempio, il nostro girone (C): è competitivo e apertissimo».
Su 200 presenze solo 25 in serie A, con la Fortitudo. Come mai?
«Ho perso alcuni treni, a volte difficili da gestire e da accettare. Se avessi colto quelle occasioni avrei dovuto cambiare vita e non mi sentivo pronta. Naturalmente sono dispiaciuta di aver giocato solo venticinque sfide in A ma non ne faccio una tragedia. Tuttavia, nella massima categoria desidero tornarci».
Avendo trascorso la carriera principalmente in A e odierna B, ritiene che, oggi, sia questa la sua dimensione?
«In un certo senso sì, anche se aspiro sempre a migliorare e a migliorarmi. In B mi trovo a mio agio e, quando riesco, cerco di fare la differenza».
Cosa ha guadagnato e cosa ha lasciato per strada lungo il cammino?
«Il calcio mi ha aiutato a formare il carattere. Come sono in campo sono fuori, giocando esce fuori appieno la mia personalità. So di non avere una grinta pazzesca e, probabilmente, se nelle giovanili avessi lavorato con maggiore intensità su questo aspetto adesso sarei una calciatrice ancora più matura. Mi dispiace aver acquisito tale consapevolezza forse troppo tardi, nonostante io sia giovane».
Giocare 200 partite vuol dire anche aver dedicato la maggior parte della vita al pallone?
«Senza dubbio. I sacrifici sono stati e sono parecchi, soprattutto se militi a certi livelli: i fine settimana sono dedicati alle gare di campionato, hai a disposizione poco tempo libero, durante la settimana ci sono gli allenamenti, devi rinunciare spesso ad uscire con amiche ed amici, e trovare un lavoro è ancora più difficile del normale per incompatibilità di orari. In ogni caso, il pallone è la mia passione e i sacrifici li faccio volentieri».
Matteo Sambugaro
Foto: Graziano Zanetti Photography
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