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A scuola di parate. Da uno che alle spalle conta 27 anni da portiere e 27 da preparatore, divisi tra calcio maschile e femminile. «Un buon estremo difensore deve essere fisicamente all’altezza, saper giocare con i piedi, avere grande concentrazione, reattività e personalità». Da due stagioni la Fortitudo Mozzecane gli ha affidato i suoi portieri. E Claudio Bressan ha sempre risposto presente. «Questo è un ruolo delicato: occorre avere la fiducia delle compagne, assumersi la responsabilità di un errore e, nello stesso tempo, reagire subito e non abbattersi. Perchè c’è la difesa da guidare e da gestire». Ha 63 anni, il preparatore gialloblù. Sessantatré anni di esperienza e passione, trascorsi a giocare, ad allenare gli uomini dalla Terza categoria all’Eccellenza veronesi, e scoprendo strada facendo il calcio femminile: una volta appeso gli scarpini (o nel suo caso, i guanti) al chiodo, Claudio ha guidato i portieri di Scaligera, Zevio, Caldiero, Soave, Vigasio, Belfiorese e Pozzo, conquistando in totale cinque promozioni e una Coppa Veneto, e gli estremi difensori «in rosa» del Verona Bardolino (serie A) e oggi della Fortitudo (serie B).

Bressan, come si è avvicinato al calcio femminile?

«Nell’estate del 2009 il Verona Bardolino aveva appena vinto lo scudetto, stava cercando un nuovo preparatore dei portieri e mi contattò. Io accettai la loro proposta con entusiasmo perché professionalmente mi attirava l’idea di lavorare in serie A e di allenare al pomeriggio. Fino a quel momento il calcio femminile lo seguivo con interesse, anche se da lontano, mi informavo sui risultati appunto del Verona e guardavo su internet gli highlights delle partite. Sono entrato in una realtà diversa, che conoscevo poco ma che mi ha conquistato subito».

Dopo le due stagioni al Verona Bardolino, e i successivi anni al Pozzo (calcio maschile), è rientrato nel femminile, stavolta alla Fortitudo Mozzecane. Ne sentiva la mancanza?   

«(sorride, ndr) La Fortitudo mi aveva chiesto aiuto per trovare un preparatore dei portieri e, alla fine, la sorte ha voluto che proponessero a me il contratto, data l’esperienza che avevo accumulato in passato e la mia disponibilità in termini di tempo, essendo in pensione. Sono felice di essere tornato in questo mondo: qui mi diverto e lavoro molto bene».

Cosa le piace e cosa non le piace del calcio femminile?

«Le ragazze scendono in campo per passione, pura e vera: alcune vengono da lontano, altre studiano o lavorano, eppure l’amore per il pallone è più forte di qualsiasi sacrificio. Inoltre, è stupenda l’unione che nasce tra loro: quando una fa un bel gol o una giocata importante, le compagne applaudono e sono contente, e quando ci sono momenti di difficoltà, tutte si aiutano a vicenda. Al contrario, noto che dopo una brutta sconfitta c’è la tendenza ad essere abbastanza soddisfatte lo stesso: ecco, in quei casi mi piacerebbe vedere maggiore delusione e amarezza».

Lavorare nel calcio femminile e maschile: differenze?

«Innanzitutto, va precisato che sono due realtà differenti. Un esempio, considerata la costituzione fisica diversa: certi movimenti, in particolare dove contano l’esplosività e la forza muscolare, gli uomini riescono a farli loro con meno difficoltà, mentre le donne devono impegnarsi di più. In entrambe le discipline, poi, ci sono caratteri taciturni o esuberanti, riservati o spavaldi, e tocca al preparatore imparare a comprenderli, a gestirli e a farli rendere al massimo: forse mi trovo meglio nel femminile perché le donne sono più ligie all’ordine e si applicano di più. A livello tecnico? Lavoro con le stesse modalità e con gli stessi esercizi, e ho riscontrato professionalità da tutte e due le parti, a volte di più, a volte di meno».

Dal Verona Bardolino alla Fortitudo Mozzecane: com’è passare da una squadra che punta a conquistare lo scudetto a un club meno blasonato?

«Allenando in una formazione di vertice hai la possibilità di raccogliere soddisfazioni in termini di titoli e coppe, ma le pressioni, l’esigenza di vincere e la consapevolezza di non poter sbagliare quasi nulla sono maggiori. Dall’altra parte, si opera con il forte desiderio di far crescere e di lanciare le giovani: io preferisco stare in una realtà come Mozzecane, in cui il terreno è piuttosto fertile e puoi lavorare con più serenità. Alla Fortitudo, per esempio, vedere i propri portieri migliorare è un’enorme gioia».

Tanti successi nel calcio maschile, però le manca un titolo con il calcio femminile…

«Già. Con il Bardolino, nella stagione 2009/10, ho perso una finale di Supercoppa Italiana, sono uscito in semifinale di Coppa Italia e sono arrivato secondo in campionato. Mi dispiace non aver vinto alcun trofeo, perché specialmente nel primo anno al Verona c’erano i presupposti per alzare almeno una coppa. In ogni caso ho avuto l’opportunità di girare l’Italia e, partecipando alla Champions League, l’Europa».

Il portiere più bravo che ha allenato nel calcio in rosa?

«Stéphanie Öhrström (Fiorentina, ndr). Quando arrivò in Italia, a fine 2010, sono stato il primo ad allenarla e dare l’ok al Verona per tesserarla. Nonostante non fosse alta come mi aspettassi, fin dall’inizio avevo capito di trovarmi davanti a un portiere completo, abile tra i pali e con i piedi, perfetto dal punto di vista fisico, e a una professionista. Sono felice che abbia vinto lo scudetto sia con il Verona che, adesso, con la Fiorentina. Un aneddoto? Mi ricordo che ci intendevamo a gesti, visto che io non so l’inglese e lei, svedese, non conosceva l’italiano».

Una panoramica sui «suoi» estremi difensori alla Fortitudo: Francesca Olivieri?

«Un ottimo portiere, giovane (19 anni, ndr), ben impostato sia tecnicamente che fisicamente. Senza i problemi fisici patiti nella scorsa stagione, Francesca ha avuto la possibilità di giocare con continuità, è cresciuta molto e, al di là di qualche difficoltà iniziale, è stata determinante in più di una partita di campionato, per esempio contro il Milan Ladies e l’Unterland Damen, all’andata, e l’Azalee al ritorno, oppure nelle doppia sfide contro la Riozzese e l’Inter Milano. Olivieri deve migliorare nelle uscite e nelle palle alte, ma è davvero reattiva tra i pali e ha parecchia voglia di imparare: se riuscirà a crescere ancora potrà giocare, un domani, in serie A».

Vanessa Venturini?

«L’istinto, l’esplosività e una buona tecnica con i piedi sono le sue armi. Nella sua carriera Vanessa ha fatto un po’ il portiere e un po’ l’attaccante ma, nonostante ciò, negli ultimi due anni è migliorata tanto, circa del 50%, e oggi è un estremo difensore a tutti gli effetti. Nella passata stagione, Venturini ha stupito disputando con qualità più di metà torneo e in questo campionato, quando è stata chiamata in causa, ha sempre svolto il proprio dovere. La gara migliore del 2016/17? Contro il Milan Ladies nel girone di ritorno: se non abbiamo preso gol (0-0 finale, ndr) il merito è anche dei suoi interventi. Un difetto? Spesso dovrebbe essere più energica e meno rilassata».

Il rapporto tra preparatore e portieri?

«Occorre avere rispetto, stima, la medesima voglia e perseguire il medesimo obiettivo. Il preparatore deve comportarsi in modo comprensivo ed esigente allo stesso tempo, non criticare duramente ma provare ad entrare in sintonia con il carattere dei portieri, per far capire loro gli errori e aiutarli. Per carità, le discussioni possono avvenire, però sempre in maniera costruttiva. Con Francesca e Vanessa il rapporto è ottimo: entrambe mi ascoltano e mi seguono».

E quello tra preparatore e allenatore?

«Il rispetto reciproco è basilare, e nessuno deve sentirsi superiore all’altro. Anzi, è importante che ognuno metta al servizio del gruppo la propria esperienza e che ognuno lasci lavorare il o la collega con tranquillità, dando casomai consigli utili. Il rapporto con mister Fabiana Comin? Normale, siamo concentrati sul bene della squadra e ci confrontiamo quando c’è bisogno».

Dalla Primavera alle categorie esordienti e pulcine, Bressan allena pure i giovani portieri della Fortitudo Mozzecane: le nuove leve gialloblù? 

«Abbiamo buone prospettive per quanto riguarda un paio di esordienti, mentre nelle pulcine le bambine devono ancora decidere se fare il portiere e o giocare in un altro ruolo (precisazione: Bressan segue il vivaio insieme a Giuseppe Martini, ndr). Parlando della Primavera, invece, Martina Perina avrebbe bisogno di qualche centimetro di altezza in più e di maggiore concentrazione durante le partite, però si impegna, non è male con i piedi e si butta senza paura».

Bressan lavora sodo, ride e scherza con le calciatrici e si diverte a stare in porta nelle partitelle. L’esuberanza è la qualità che la contraddistingue?

«Sì. Con le atlete mi piace avere un rapporto professionale ma, nel contempo, scherzoso. Sono un preparatore così, genuino, spontaneo, per niente burbero e il mio carattere mi aiuta a socializzare facilmente: le ragazze devono allenarsi con impegno e determinazione, però serene e con il sorriso».

La sua filosofia di lavoro?

«Massima concentrazione, anche nei minimi particolari e negli esercizi più semplici. Dopodiché, costanza e sacrificio. Seguo un programma preciso ma adoro cambiare e variare il più possibile le esercitazioni per stimolare e tenere alta l’attenzione dei portieri. Quando alleno, infatti, penso di allenare me stesso e quindi pretendo di insegnare nel migliore dei modi».

In campionato, quanti punti contribuisce a conquistare un portiere?

«Circa sette-otto. Una parata importante in un momento delicato è decisiva per le sorti sia di una gara che di un intero torneo».

Il valore del portiere nel calcio femminile?

«Grande, grandissimo. A parer mio, l’estremo difensore è il primo ruolo da prendere in considerazione e da curare: un portiere forte nel calcio femminile fa la differenza, in particolare se punti ad arrivare in alto. La Fortitudo se n’è resa conto, purtroppo, affrontando l’Unterland Damen al ritorno: Katja Schroffenegger è veramente esperta e brava e contro di noi ha parato di tutto, salvando la sua squadra (1-1, ndr)».

Preferisce allenare due estremi difensori di pari livello o in una situazione dove sono definiti il titolare e la riserva?

«È meglio mettere subito in chiaro le gerarchie, senza dubbio. In tal modo la rivalità è più sana e si creano meno tensioni, sia tra loro che con il preparatore. In caso contrario, se due portieri sono di pari bravura e cercano di portarsi via il posto, la competizione diventa negativa e controproducente».

Come si comporta con i suoi portieri di fronte ad una prestazione negativa o ad una bella partita?

«Allora, mi complimento sempre con Francesca e Vanessa quando effettuano interventi decisivi e gare fantastiche. È giusto riconoscere ed elogiare i meriti; se commettono un errore, però il match va comunque nel verso giusto, parliamo finita la gara e capiamo insieme il perché di quel passo falso. Invece, se sbagliano e il risultato è negativo, preferisco non infierire subito: loro stesse sono consapevoli di essersi comportate male, quindi ci confrontiamo durante primo allenamento della settimana».

L’aspetto tecnico che cura maggiormente?

«Un buon preparatore presta attenzione a tutto, dalla presa alla reattività, dalla concentrazione alla forza, dal gioco con i piedi alle palle alte. Un aspetto che non sopporto? Far rimbalzare la palla. Ripeto spesso: in area in rimbalzi del pallone devono essere dispari e uno è già troppo».

Come si gestisce la convivenza tra i portieri?

«Non facendo preferenze: il titolare va trattato alla pari del secondo e viceversa. E quando vedo che tra le due, o tra i due, c’è serenità sono molto contento».

Sua moglie Gigliola asseconda il suo amore per il pallone?

«Sì e la ringrazio. Il calcio mi impegna cinque giorni alla settimana tra allenamenti e gare di campionato, ma Gigliola comprende la mia grande passione. Anzi, anche a lei piace questo sport: quando giocavo non si perdeva mai una mia partita, sia da fidanzati che nei primi anni da sposati».

Matteo Sambugaro

Foto: Graziano Zanetti Photography

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